Uno
degli apporti di maggior importanza evolutiva e trasformativa
(soprattutto dal punto di vista ambientale, culturale, economico e
sociale) che siano mai stati forniti al Monferrato è sicuramente
attribuibile all’Ordine Cistercense dopo il suo insediamento a
Lucedio presso Trino dove fondarono l’abbazia di Santa Maria di
Lucedio, che avvenne alla fine del primo quarto del XII secolo.
I
cistercensi che fondarono l’abbazia di Lucedio provenivano dal
monastero di La Ferté a Chalon-sur-Saône, in Borgogna, una regione
storica dell'ex potente e vasto regno burgundo che ha avuto un
fortissimo legame con l’Ordine, dove è nato e si è poi diffuso,
dapprima come Congregazione cluniacense (da Cluny, sempre in
Borgogna) e poi evolutosi spiritualmente, moralmente e tecnicamente
nei cistercensi, argomento che affronteremo dettagliatamente in
seguito.
Come
era d’uso all’epoca, non solo per i cistercensi, i terreni
venivano donati all’Ordine dai signori locali, in questo caso fu il
marchese aleramico Ranieri di Monferrato (il primo marchese di cui
abbiamo documentazione scritta datata 1111 attestante il titolo di
marchese di Monferrato) a concederli, e non era un atto di sola
generosità, ma era strategico e lungimirante, in quanto oltre
all'autorevolezza ed al prestigio che procurava alla casata, era
pressoché sicuro un netto miglioramento delle tecniche agrarie che i
monaci erano in grado di apportare. Infatti non si limitavano alle
bonifiche di terreni boschivi e malsani, ma ricorrevano ad innovativi
sistemi di canalizzazione ed irrigazione e introducevano nuove
coltivazioni allora sconosciute da noi, come ad esempio il riso
(avvenuto molto tempo dopo il primo insediamento di Lucedio),
incrementando enormemente il valore dei terreni (anche di quelli
contigui), che inizialmente erano perlopiù improduttivi, paludosi,
degradati, boscaglie, ecc., da cui il nome “locez” da cui deriva
Lucedio.
Occorre
precisare che il riso era conosciuto da tempo in Italia,
probabilmente introdotto dagli arabi in Sicilia e poi dagli Aragonesi
nel regno di Napoli, ma veniva considerata una spezia (come tale
esotica, per la sua provenienza) ed usato esclusivamente per scopi
terapeutici. Come coltivazione inizialmente era avversata in quanto
favoriva la malaria, ma poi grazie al maggior reddito che forniva
rispetto ad altri cereali, prevalse sui pregiudizi e sospetti,
divenendo anche una soluzione alle frequenti carestie cicliche che
colpivano le popolazioni locali. Il primo esperimento di coltivazione
del riso in Italia si ebbe ad opera dei monaci cistercensi di Lucedio
ai primi del '400.
I
cistercensi però erano più temerari delle altre confraternite e
quando non ricevevano donazioni si insediavano comunque abusivamente,
iniziando a costruire povere capanne in legno e fango, confidando che
col tempo sarebbero stati ben accolti e sostenuti ed avrebbero potuto
commissionare la costruzione di edifici solidi e funzionali. E così
avvenne ovunque in Europa, a tal punto che nel giro di pochi decenni
fondarono oltre 300 abbazie, un successo superiore a qualsiasi più
rosea aspettativa, un vero fenomeno storico, economico e culturale,
attribuibile oltre che al talento organizzativo di Stefano Harding,
soprattutto al carisma ed autorevolezza di Bernardo di Chiaravalle,
massimo esponente e rappresentante dell’Ordine nei primi decenni
del XII secolo, una delle personalità più influenti del Medioevo.
Teniamo
conto inoltre che, come per ogni abbazia cistercense, dopo alcuni
anni di rodaggio ed intenso lavoro, i risultati ottenuti erano tali
da avviare altri insediamenti dipendenti dal primo, cioè altri
monasteri, e numerose grange, cioè fattorie distanziate dall’abbazia
madre e rette da frati specializzati, detti conversi (laici), mentre
i frati canonici rimanevano nell’abbazia originariamente fondata in
loco. In proposito Lucedio non fece eccezione, dispose infatti di una
mezza dozzina di grange, anche di grandi dimensioni, oltre che
appezzamenti di terreno in tutto il Monferrato ed oltre, e fondò una
cinquantina di anni dopo per filiazione l’abbazia di Santa Maria di
Rivalta Scrivia presso Tortona.
Area di influenza politico
militare dei marchesi di Monferrato in epoca Medievale (le due aree scure sono i possedimenti
diretti)
Lucedio
in Monferrato acquisì una tale importanza da divenire il luogo sacro
per eccellenza della dinastia aleramica di Monferrato, dimostrato
dalla scelta di molti marchesi di farsi seppellire nell’abbazia.
Il
metodo di espansione dei cistercensi era sempre lo stesso: quando il
primo insediamento locale aveva avuto successo, era ben accettato,
sostenuto e consolidato dal lavoro complessivo e specialistico che si
svolgeva (che poteva variare da luogo a luogo, e copriva un arco
impressionante di capacità, dall’agricoltura ed allevamento, alla
lavorazione delle pergamene, rilegature di libri, concia, tintoria,
tosatura e lavorazione della lana, ecc.) oltre che dal continuo
arrivo di nuovi frati e conversi, ad un certo punto un gruppo di
questi lasciava l’abbazia per andare a fondarne un’altra in un
luogo idoneo, mai casuale ma scelto con cura, dove ci fosse acqua sia
in superficie che sotterranea, potenzialità di sfruttamento e
collocazione strategica presso vie di comunicazione importanti o che
si supponeva lo divenissero.
Alcuni
autori riferiscono anche di una particolare attenzione posta dai
cistercensi alle energie geotelluriche della località prescelte,
oltre all’isolamento, perché era soprattutto questo aspetto che
differenziava nettamente i cistercensi da ogni altro ordine
monastico, come ad esempio gli agostiniani o i benedettini che
preferivano insediarsi presso castelli, villaggi, borghi o città
oppure fondarne dei nuovi (villeneuves) aggregandoli al monastero. I
cistercensi invece preferivano isolarsi e rendersi autonomi col
lavoro, senza dipendere dagli altri, soprattutto dalle donazioni dei
nobili e da altre forme di meschina speculazione come i servizi
religiosi a pagamento.
Ma
veniamo ai cistercensi, alle loro origini e caratteristiche che li
differenziavano dagli altri ordini.
Stemma dell’Abbazia
di Cluny
Nacquero
dai cluniacensi, cioè dall’abbazia di Cluny, fondata all’inizio
del X secolo anch’essa in Borgogna per volontà del duca di
Aquitania e Alvernia che lo pose sotto la diretta giurisdizione
papale, ed adottarono come era prassi all’epoca, la regola
benedettina, salvo il fatto poi di rispettarla più o meno
correttamente.
Stemma dell’Abbazia
di Cluny
Quando
successivamente il papa decise di estendere il riconoscimento dei
privilegi (tra cui esenzioni ed autonomia) a tutte le filiazioni di
Cluny, divenne nell’arco di qualche decennio una potente
istituzione religiosa culturale, economica e politica, con una rete
di filiazioni che coprirono quasi tutta l’Europa. L’abate di
Cluny divenne una specie di monarca, oggi lo definiremmo capo di una
multinazionale, con centinaia di priori, cioè di abati a capo di
monasteri, da lui scelti e controllati.
Si
ritiene che nella sola sede centrale, cioè a Cluny, nel periodi di
massima prosperità lavorassero non meno di 10 mila tra contadini e
braccianti, cui si devono sommare centinaia di frati canonici e
migliaia di frati conversi e si deve tenere conto delle continue
donazioni, lasciti e doti che pervenivano e gli affitti, decime e
rendite ecclesiastiche che percepivano, oltre ai molteplici e
continui servizi religiosi a pagamento. Ci si può pertanto rendere
conto di quale immensa ricchezza (e relativo potere) debba aver
accumulato l’abbazia madre di Cluny ed i suoi abati. Molto
superiore a quello del re di Francia e dei suoi maggiori vassalli,
essendo il regno di Francia all’epoca ben poca cosa come
giurisdizione diretta, essendo il territorio francese formato da
ducati e contee potenti ed autonome ed in buona parte sottomesse al
regno d’Inghilterra.