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giovedì 6 agosto 2015

L'Abbazia di Lucedio e l'Ordine Cistercense e del Tempio



di Claudio Martinotti Doria http://www.cavalieredimonferrato.it/


Uno degli apporti di maggior importanza evolutiva e trasformativa (soprattutto dal punto di vista ambientale, culturale, economico e sociale) che siano mai stati forniti al Monferrato è sicuramente attribuibile all’Ordine Cistercense dopo il suo insediamento a Lucedio presso Trino dove fondarono l’abbazia di Santa Maria di Lucedio, che avvenne alla fine del primo quarto del XII secolo.

I cistercensi che fondarono l’abbazia di Lucedio provenivano dal monastero di La Ferté a Chalon-sur-Saône, in Borgogna, una regione storica dell'ex potente e vasto regno burgundo che ha avuto un fortissimo legame con l’Ordine, dove è nato e si è poi diffuso, dapprima come Congregazione cluniacense (da Cluny, sempre in Borgogna) e poi evolutosi spiritualmente, moralmente e tecnicamente nei cistercensi, argomento che affronteremo dettagliatamente in seguito.
Come era d’uso all’epoca, non solo per i cistercensi, i terreni venivano donati all’Ordine dai signori locali, in questo caso fu il marchese aleramico Ranieri di Monferrato (il primo marchese di cui abbiamo documentazione scritta datata 1111 attestante il titolo di marchese di Monferrato) a concederli, e non era un atto di sola generosità, ma era strategico e lungimirante, in quanto oltre all'autorevolezza ed al prestigio che procurava alla casata, era pressoché sicuro un netto miglioramento delle tecniche agrarie che i monaci erano in grado di apportare. Infatti non si limitavano alle bonifiche di terreni boschivi e malsani, ma ricorrevano ad innovativi sistemi di canalizzazione ed irrigazione e introducevano nuove coltivazioni allora sconosciute da noi, come ad esempio il riso (avvenuto molto tempo dopo il primo insediamento di Lucedio), incrementando enormemente il valore dei terreni (anche di quelli contigui), che inizialmente erano perlopiù improduttivi, paludosi, degradati, boscaglie, ecc., da cui il nome “locez” da cui deriva Lucedio. 
 
Occorre precisare che il riso era conosciuto da tempo in Italia, probabilmente introdotto dagli arabi in Sicilia e poi dagli Aragonesi nel regno di Napoli, ma veniva considerata una spezia (come tale esotica, per la sua provenienza) ed usato esclusivamente per scopi terapeutici. Come coltivazione inizialmente era avversata in quanto favoriva la malaria, ma poi grazie al maggior reddito che forniva rispetto ad altri cereali, prevalse sui pregiudizi e sospetti, divenendo anche una soluzione alle frequenti carestie cicliche che colpivano le popolazioni locali. Il primo esperimento di coltivazione del riso in Italia si ebbe ad opera dei monaci cistercensi di Lucedio ai primi del '400.
I cistercensi però erano più temerari delle altre confraternite e quando non ricevevano donazioni si insediavano comunque abusivamente, iniziando a costruire povere capanne in legno e fango, confidando che col tempo sarebbero stati ben accolti e sostenuti ed avrebbero potuto commissionare la costruzione di edifici solidi e funzionali. E così avvenne ovunque in Europa, a tal punto che nel giro di pochi decenni fondarono oltre 300 abbazie, un successo superiore a qualsiasi più rosea aspettativa, un vero fenomeno storico, economico e culturale, attribuibile oltre che al talento organizzativo di Stefano Harding, soprattutto al carisma ed autorevolezza di Bernardo di Chiaravalle, massimo esponente e rappresentante dell’Ordine nei primi decenni del XII secolo, una delle personalità più influenti del Medioevo.
Teniamo conto inoltre che, come per ogni abbazia cistercense, dopo alcuni anni di rodaggio ed intenso lavoro, i risultati ottenuti erano tali da avviare altri insediamenti dipendenti dal primo, cioè altri monasteri, e numerose grange, cioè fattorie distanziate dall’abbazia madre e rette da frati specializzati, detti conversi (laici), mentre i frati canonici rimanevano nell’abbazia originariamente fondata in loco. In proposito Lucedio non fece eccezione, dispose infatti di una mezza dozzina di grange, anche di grandi dimensioni, oltre che appezzamenti di terreno in tutto il Monferrato ed oltre, e fondò una cinquantina di anni dopo per filiazione l’abbazia di Santa Maria di Rivalta Scrivia presso Tortona. 

 

Area di influenza politico militare dei marchesi di Monferrato in epoca Medievale (le due aree scure sono i possedimenti diretti) 

Lucedio in Monferrato acquisì una tale importanza da divenire il luogo sacro per eccellenza della dinastia aleramica di Monferrato, dimostrato dalla scelta di molti marchesi di farsi seppellire nell’abbazia.
Il metodo di espansione dei cistercensi era sempre lo stesso: quando il primo insediamento locale aveva avuto successo, era ben accettato, sostenuto e consolidato dal lavoro complessivo e specialistico che si svolgeva (che poteva variare da luogo a luogo, e copriva un arco impressionante di capacità, dall’agricoltura ed allevamento, alla lavorazione delle pergamene, rilegature di libri, concia, tintoria, tosatura e lavorazione della lana, ecc.) oltre che dal continuo arrivo di nuovi frati e conversi, ad un certo punto un gruppo di questi lasciava l’abbazia per andare a fondarne un’altra in un luogo idoneo, mai casuale ma scelto con cura, dove ci fosse acqua sia in superficie che sotterranea, potenzialità di sfruttamento e collocazione strategica presso vie di comunicazione importanti o che si supponeva lo divenissero.
Alcuni autori riferiscono anche di una particolare attenzione posta dai cistercensi alle energie geotelluriche della località prescelte, oltre all’isolamento, perché era soprattutto questo aspetto che differenziava nettamente i cistercensi da ogni altro ordine monastico, come ad esempio gli agostiniani o i benedettini che preferivano insediarsi presso castelli, villaggi, borghi o città oppure fondarne dei nuovi (villeneuves) aggregandoli al monastero. I cistercensi invece preferivano isolarsi e rendersi autonomi col lavoro, senza dipendere dagli altri, soprattutto dalle donazioni dei nobili e da altre forme di meschina speculazione come i servizi religiosi a pagamento.
Ma veniamo ai cistercensi, alle loro origini e caratteristiche che li differenziavano dagli altri ordini.



Stemma dell’Abbazia di Cluny



Nacquero dai cluniacensi, cioè dall’abbazia di Cluny, fondata all’inizio del X secolo anch’essa in Borgogna per volontà del duca di Aquitania e Alvernia che lo pose sotto la diretta giurisdizione papale, ed adottarono come era prassi all’epoca, la regola benedettina, salvo il fatto poi di rispettarla più o meno correttamente.
Stemma dell’Abbazia di Cluny
Quando successivamente il papa decise di estendere il riconoscimento dei privilegi (tra cui esenzioni ed autonomia) a tutte le filiazioni di Cluny, divenne nell’arco di qualche decennio una potente istituzione religiosa culturale, economica e politica, con una rete di filiazioni che coprirono quasi tutta l’Europa. L’abate di Cluny divenne una specie di monarca, oggi lo definiremmo capo di una multinazionale, con centinaia di priori, cioè di abati a capo di monasteri, da lui scelti e controllati.
Si ritiene che nella sola sede centrale, cioè a Cluny, nel periodi di massima prosperità lavorassero non meno di 10 mila tra contadini e braccianti, cui si devono sommare centinaia di frati canonici e migliaia di frati conversi e si deve tenere conto delle continue donazioni, lasciti e doti che pervenivano e gli affitti, decime e rendite ecclesiastiche che percepivano, oltre ai molteplici e continui servizi religiosi a pagamento. Ci si può pertanto rendere conto di quale immensa ricchezza (e relativo potere) debba aver accumulato l’abbazia madre di Cluny ed i suoi abati. Molto superiore a quello del re di Francia e dei suoi maggiori vassalli, essendo il regno di Francia all’epoca ben poca cosa come giurisdizione diretta, essendo il territorio francese formato da ducati e contee potenti ed autonome ed in buona parte sottomesse al regno d’Inghilterra.

Se pensate che in quel periodo, per avere un termine di paragone, il borgo di Casale Sant’Evasio (destinato alcuni secoli dopo a divenire la Capitale del marchesato di Monferrato) si stima avesse poche migliaia di abitanti, Cluny in confronto era una opulenta metropoli produttiva, perfettamente organizzata ed avveniristica. La degenerazione morale conseguente ad un tale successo era da mettere in conto. Per cui i costumi divennero lassisti, per non dire debosciati, mi riferisco ovviamente ai frati canonici, meno i conversi perché erano costretti a produrre, complessivamente ben lontani dallo spirito originario della regola benedettina che era stata a suo tempo adottata.
Questo fu il motivo per cui Roberto di Molesme che voleva riformare l’Ordine rendendolo più austero e fedele allo spirito originario, abbandonò il monastero, nonostante gli avessero offerto il grado di abate di una delle tante filiazioni cluniacensi, preferì allontanarsi e fondare una sua abbazia a Molesme, per poi abbandonare anch’essa per ritirarsi in un eremo. 


Abbazia di Citeaux


Sollecitato dal suo assistente Stefano Harding, lasciò le velleità eremitiche e fondò a sud di Digione, a Citeaux, quella che diverrà l’abbazia madre dell’Ordine cistercense (siamo sempre in Borgogna), che fu consacrata nel 1098 e di cui divenne abate Stefano Harding. Fu quest'ultimo a scrivere le regole dell’ordine e a scegliere l’abito bianco come simbolo di purezza e di profondo distacco rispetto agli abiti neri dei monaci benedettini e cluniacensi. “Ora et Labora” diverrà un motto praticato con coerenza persino esasperata, come a voler focalizzare il netto distacco con i cluniacensi che al contrario di lavoro ne svolgevano poco ma semmai lo facevano svolgere ai subordinati (che erano decine di migliaia) e si facevano pure servire nelle esigenze individuali quotidiane come fossero dei nobili.
Anche l’Ordine Cistercense si organizzò in due livelli di accesso e suddivisione dei compiti interni, i monaci del coro (i canonici) ed i monaci laici o conversi, molto più numerosi (forse in rapporto di 10 a 1) che erano quelli che si dedicavano soprattutto al lavoro nei campi, nelle grange, ecc., erano soprattutto contadini, provenienti quindi dalle classi umili, per le quali avere un tetto sotto cui ripararsi, la protezione di un’istituzione potente, e due pasti al giorno, era già una meta ambita, più che sufficiente come motivazione per aderirvi.
Altre caratteristiche che differenziavano i monaci cistercensi dagli altri, oltre all’isolamento degli insediamenti ed il maggior lavoro svolto erano l’alimentazione prevalentemente vegetariana, le uniche eccezioni erano il pesce in alcune occasioni particolari, l'igiene praticata ogni giorno in diverse parti del corpo grazie alla disponibilità di acqua corrente (che in quei tempi era una rarità), l’assoluta sobrietà degli edifici, privi di qualsiasi orpello ed ostentazione seppur minimale, la procedura democratica di elezione dell’abate e di gestione dei conflitti interni e delle punizioni, un modo di procedere per l’epoca assolutamente inusuale ed innovativo, diciamo pure sconosciuto (si riferivano alla Carta Caritatis scritta da Stefano Harding, che era uno straordinario organizzatore, che sapeva aggregare e motivare).

Monaci cistercensi della stretta osservanza o trappisti (Ordo Cisterciensis Strictioris Observantiae)

Sulle origini del nome dei cistercensi si dibatte tuttora, forse deriva dalla casa madre Citeaux, traduzione francese del latino Cistercium che sarebbe a sua volta un’abbreviazione che significa “dove c’è la pietra del terzo miglio”, cioè un’antica segnalazione romana, Altri autori ben più dotati di immaginazione e compiendo correlazioni temerarie si spingono a interpretarla etimologicamente come Cisterns, facendo emergere l’estrema importanza dei cistercensi per l’acqua e la sua conservazione ed utilizzo, similmente agli insediamenti esseni di Qumram (anch’essi dotati di abiti bianchi e con regole di vita piuttosto simili, in particolare igieniche ed alimentari, il cui insediamento comunitario potrebbe essere considerato una sorta di monastero ante litteram).
Sul duro lavoro svolto dai cistercensi e sulla loro eccellenza professionale ed ingegnosità in ambito agricolo ed idraulico (canalizzazione ed irrigazione), come causa primaria del loro successo sia come diffusione che come risultati economici conseguiti, non ci possono essere dubbi. Come era costume dell’epoca, ci si atteneva ai ritmi naturali e biologici scanditi dall’alba al tramonto del sole, si andava dormire poco dopo la cena per poche ore soltanto e ci si alzava ben prima dell’alba per pregare e poi mettersi subito a lavorare. Si calcola che lavorassero almeno 130 ore a settimana, quasi quanto oggi si lavora mediamente in un mese.
Il progresso agricolo ed economico sociale di tutta Europa è in cospicua parte da attribuirsi al loro duro perseverante lavoro ed alla loro autodisciplina, di stampo simile a quella militare, per cui non dobbiamo stupirci che siano stati loro (Bernardo di Chiaravalle in primis) a promuovere la fondazione e formazione del successivo (di li a poco) Ordine dei Cavalieri Templari, che furono in tutto e per tutto simili ai cistercensi, con il valore aggiunto di essere guerrieri indomiti, a tal punto che alcuni autori definiscono i templari come “cistercensi a cavallo”.

Risultati immagini per gregge di pecore da lana al pascolo

Per renderci conto di quanto i cistercensi abbiano influito sulla società ed economia continentale basterebbe citare il fatto che i maggiori mercanti fiamminghi e “lombardi” (cioè italiani) di tessuti era a loro che si rivolgevano per stipulare contratti di fornitura di lana, per la loro affidabilità e continuità produttiva, in particolare coi cistercensi inglesi, che si calcola disponessero di greggi di pecore altamente produttive di lana (da loro selezionate e migliorate) con centinaia di migliaia di capi, che tosavano con estrema precisione ed abilità.
Costituirono pertanto un modello di riferimento cui si ispirarono nei secoli successivi molti di coloro che intrapresero attività imprenditoriali nei rami da loro esplorati e perfezionati, dando un notevole impulso al progresso complessivo ed alla qualità della vita delle popolazioni europee.

Magione templare

Personalmente però vorrei concludere ricordando soprattutto quanto abbiano influito sulla costituzione del quasi coevo Ordine del Tempio, essendo i cavalieri templari in tutto e per tutto simili a loro, come fossero una loro milizia, e come questi ultimi imitandoli negli aspetti produttivi ed applicando le loro conoscenze di base, abbiano portato a maggiore sviluppo, addirittura inventandole di sana pianta, tecniche e scelte strategiche e logistiche non contemplate dai cistercensi, quali quelle finanziarie, politico diplomatiche, commerciali, militari, navali (flotte militari e commerciali e nuove rotte), edilizie, ecc., raggiungendo l'apice in ogni settore e divenendo in tempi stretti un'antesignana potentissima multinazionale, provocando le ire e mire di personaggi potenti che col tempo sarebbero poi riusciti a danneggiarli gravemente. Ma questa è un'altra storia.