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martedì 28 aprile 2009

Antichi misteri nel Duomo di Casale, Capitale del Monferrato. Una nuovissima ipotesi coinvolge i Templari ...


Antichi misteri nel Duomo di Casale, Capitale del Monferrato. Una nuovissima ipotesi coinvolge i Templari ...
di Gabriella Fogli
Continuiamo il cammino intrapreso nell’indagare i misteri del Piemonte e, in questo momento, in particolar modo quelli del Monferrato, spostandoci all’interno del magnifico duomo di Casale, o cattedrale di Sant’Evasio.
Tuttavia occorre una precisazione: mai ci stancheremo di affermare che limitarsi ad analizzare un singolo monumento o una singola zona estrapolandolo dal contesto storico generale dell’epoca, non solo quella coeva, ma quella più antica a monte, è come fare un’analisi psicologica ad un individuo senza tener conto del contesto familiare e sociale in cui vive, in cui ha vissuto ed in cui si è formata la sua personalità.
Si potrà obiettare, e sempre questo viene messo in opera ogni volta che non si forniscono prove concrete, che in mancanza di “documentazione storica” quello che rimane sono solo congetture, ma questa affermazione è vera parzialmente in quanto la storia la scrivono i vincitori, i documenti “segreti” non venivano certo divulgati negli archivi, prassi seguita tutt’oggi, per esempio, da ogni azienda o persona che esporti illegalmente denaro all’estero per sottrarlo al fisco, inoltre tutte le varie “intelligence” segrete di ogni paese del mondo forniscono documentazioni ai propri organi dirigenti a cui noi, comuni mortali, non avremo mai accesso, salvo che per i documenti “declassified” che saltano fuori “a caso” in momenti particolari. Inoltre il fatto che un documento sia antico non significa che sia vero, o che non sia di parte; i “cronisti” dell’epoca lavoravano al servizio del committente o dei committenti, che gli permettevano di guadagnare e di sopravvivere. Se leggiamo, ad esempio, le cronache delle crociate redatte dai “giornalisti” dell’epoca, siano cristiani o mussulmani, troveremo descritte le atrocità compiute dall’avversario ed enfatizzato il proprio ruolo e la propria missione tacendo su quanto di ignobile è perpetuato da una parte o dall’altra.
Ma torniamo a noi…all’interno del duomo, su un capitello dell’atrio, c’è una misteriosa incisione che non si può considerare casuale, in quanto è racchiusa in un abbozzo dell’atrio stesso e consiste in una firma composta da due lettere, una F ed una J, almeno così viene interpretata sul testo “il duomo di Casale Monferrato” di Attilio Castelli e Dionigi Roggero, edito dalla fondazione Sant’Evasio. Le stesse deduzioni sono riportate sul sito ufficiale della diocesi casalese: http://www.cattedralecasale.org
Cliccando sulla pagina web: http://www.cattedralecasale.org/capitoli/03cattedrale/crocicavalieri.html
Per la verità la j potrebbe anche essere una s, ma per ora atteniamoci a quanto hanno interpretato gli “esperti”.
La firma è sempre stata considerata dagli studiosi come l’ iniziale del maestro costruttore ed è incisa su un capitello della tribuna. Ad oggi vige ancora il mistero più fitto su tale incisione.
Con il presente lavoro ci proponiamo di offrire una nuova ipotesi e per farlo dobbiamo necessariamente spostarci all’esterno del duomo, nell’antico quartiere di cantone Vaccaro, che insieme al Brignano, al Montarone ed al Lago, costituiva il nucleo più antico della Casale medievale, quello che veniva definito “il borgo”. Qui vi era, e vi è, la “casa grande” che dipendeva dalla Commenda di Santa Maria del Tempio e nei suoi pressi si trovava, e si trova, un altro edificio, denominato “la casa piccola”, con una parte superiore destinata ad abitazione ed una parte inferiore che, da una visita priorale del 1646, risultava addetta ancora a bottega, anzi, al piano terra si trovavano due “botteghe grandi” ed al primo piano tre stanze con “tre stibbi di mattoni”. Solo da un resoconto del 1787 la casa perde la sua funzione principale di laboratorio per diventare un edificio cittadino come gli altri.
La presenza di queste due case definite per distinguerle la “grande” e la “piccola” ha sempre rappresentato per noi un interrogativo: che funzione avevano e quale era il senso di due presenze cittadine dell’Ordine situate non ad un capo e all’altro del paese, ma l’una nei pressi dell’altra? O meglio…la “grande” era il posto di controllo sul territorio cittadino, ma la “piccola”?
Una risposta ai nostri quesiti la troviamo in un libro di Louis Charpentier ed. x i tipi dell’ L’Età dell’Acquario “I misteri della cattedrale di Chartres”. In tale testo, nel capitolo “I Confratelli”, l’autore cita la “casa grande” e la “casa piccola” specificando che la grande era l’edificio in cui risiedevano i cavalieri ed a cui avevano accesso solo gli “invitati”, costituiva il convento propriamente definito ed era così appellata in contrapposizione alla “casa piccola” che, in lingua gallica, è la cayenne, e tradizionalmente la cayenne è il luogo riservato alla confraternita dei costruttori. In quei tempi erano attive tre confraternite: i Figli di Padre Soubise, i Figli di Mastro Jacques ed i Figli di Salomone.



Noi riteniamo che una di queste confraternite alloggiasse nella “casa piccola” e fosse in stretta correlazione con l’Ordine del Tempio, non solo, la correlazione tra l’ordine dei costruttori e l’Ordine del Tempio è rappresentata proprio dall’atrio del duomo, quell’atrio che ha fatto versare fiumi di inchiostro in quanto avulso dal resto della costruzione e in uno stile particolarissimo. L’atrio, o nartece, è unico esempio di architettura romanica dove “l'ambiente centrale è coperto da quattro arconi a tutto sesto, due trasversali e due longitudinali, che individuano nove campate coperte a crociera”. Gli incroci arditi in conci di arenaria e mattoni di argilla articolano lo spazio in modo complesso e si intrecciano a coppie parallele dando vita ad un ambiente originale e unico nel panorama del romanico europeo e lo si fa derivare da esempi Armeni o Islamici. Alcuni elementi decorativi presentano interessanti parallelismi con il portale della Gloria di Santiago di Compostela e sono precisamente il fregio della cerva ed il rosone della facciata primitiva. Questi parallelismi ci riportano molto semplicemente alla confraternita dei Figli di Mastro Jacques(Giacomo) che hanno lasciato la loro firma ed il loro stile nel nartece. Ma chi erano? Purtroppo ne sappiamo molto poco e quel poco, a volte, sconfina nella leggenda, ma le leggende devono essere interpretate in modo allegorico perché ci parlano per simboli, simboli che si perdono nella notte dei tempi. Ad ogni modo pare che, tra le altre cose, si incaricarono dell’organizzazione religiosa ed hospitaliera del cammino verso Santiago de Compostella e quindi si aprono nuovi ed interessanti interrogativi…che cosa univa questi confratelli ai Cavalieri del Tempio? E che rapporto esiste tra il duomo di Casale Monferrato ed il cammino verso Santiago? Sono domande a cui dare risposte è tutt’altro che semplice.
Prendiamo per esempio la cerva: viene normalmente interpretata come un mito lunare, paragonata ad Artemide o a Diana cacciatrice e si dice che rappresenti la “caccia” alla Sapienza ed alla Saggezza. Il cristianesimo si sovrappone al mito “impossessandosene”: “Come la cerva anela ai rivi d’acqua, così l’anima mia a Te anela, o mio Dio”. Questo è l’inizio del salmo n. 42 ed il cristianesimo afferma che la cerva rappresenta l’anima che anela a congiungersi al Signore, a Dio. Ma lo Charpentier nel suo libro “Il mistero di Compostela”, pag. 174, propone un’altra interpretazione che ci trova in sintonia: “allo stesso modo, per quanto concerne i cervi, gli unici rappresentati fra i tanti animali possibili, non credo che si tratti di una sorta di simbolo lunare com’è stato ipotizzato, ma di un totem, segni totemici concernenti non una tribù, ma una confraternita iniziatica”. Dunque abbiamo un simbolo che “parla” il linguaggio degli uccelli, linguaggio comprensibile solo a chi sarà in grado di leggerlo, pur mantenedo, a nostro avviso, anche la valenza simbolica lunare, l’una non esclude l’altra, sono due letture diverse ma, sempre a nostro avviso, complementari.
Certo è alquanto sorprendente ritrovare nel nartece di Casale Monferrato le tracce di una Confraternita Iniziatica di costruttori, dei compagni confratelli che si recavano, anzi “passavano” di posto in posto lasciando messaggi precisi del loro “passaggio”. O meglio, non ci sorprende in effetti perché nel Monferrato la presenza templare è stata decisamente importante ed ancora poco nota grazie ad un preciso lavoro di occultamento, oltre che ai disastri del tempo e delle guerre.



Il nartece è stato edificato sull’antico cimitero antistante la chiesa e fin dalla sua costruzione era caratterizzato da accessi frontali e laterali sempre aperti al passaggio pubblico. Sui lati esterni dell’atrio si distendono due gallerie a forma di matronei indipendenti a cui si accede tramite scale a chiocciola situate all’interno dei campanili. Queste gallerie sono collegate dalla tribuna e illuminate da grandi finestre il che conferiva al luogo un ruolo quasi esclusivamente sociale, assai importante nell’attività politica del borgo in fase di pieno sviluppo.
Ma non desideriamo annoiarvi oltre con descrizioni architettoniche facilmente reperibili e che al momento rischiano di allontanarci dal punto principale: è plausibile l’ipotesi che una compagnia di “costruttori” agisse in Monferrato per ordine e indicazioni precise dell’Ordine del Tempio? Noi riteniamo di sì, che sia più che plausibile questo, ed un’altra indicazione ci viene da Santa Maria di Isana, commenda templare con la relativa chiesa sorta a due passi da Livorno Ferraris, prov. Vercelli, posta su una via strategica per il pellegrinaggio. Scorrendo l’interessantissimo e documentatissimo libro “Santa Maria d’Isana” di Giovanni Franco Giuliano, ex sindaco di Livorno Ferraris nonché saggista e profondo conoscitore della zona, apprendiamo a pag. 87 del suddetto libro, che il 15 dicembre 2000 si è tenuta una conferenza organizzata dall’amministrazione comunale a cui hanno partecipato diversi architetti e studiosi. Uno degli architetti, Cattìa Salto, scrive: “l’alternanza del materiale con intento decorativo che sottolinea i tratti salienti dell’apparato architettonico….. Indica un probabile collegamento con la scuola locale del Monferrato: maestranze che hanno lasciato un’impronta tipica in molte chiese monferrine tra il 1160 e il 1180 (ad esempio la vicina Santa fede a Cavagnolo). Maestranze che possono aver iniziato la loro attività con il vescovo di origine lombarda Landolfo di Vergiate: diventato vescovo di Asti nel 1105 di ritorno dalla prima crociata fece costruire, presumibilmente intorno agli anni 1110-1130, la chiesa del Santo Sepolcro, chiesa attualmente dedicata a San Pietro, ma l’antico nome indica chiaramente l’intento di riferirsi a modelli gerosolimitani …..anche santa Maria di Isana potrebbe ascriversi a questa scuola locale, del tutto estranea alla prassi costruttiva dell’area vercellese”.



Allora riassumiamo: l’architetto afferma che la chiesa è stata probabilmente edificata da un gruppo di costruttori che si rifanno ad una scuola locale del Monferrato. Quindi i Templari, sicuramente presenti a Santa Maria di Isana, si sono rivolti a questa “confraternita”. Non solo….si ipotizza che tale confraternita abbia avuto rapporti o addirittura sia stata portata qui dal vescovo di Asti Landolfo di Vergiate che fece costruire la bellissima chiesa medievale del Santo Sepolcro situata in Asti, chiesa dotata anche di “hospitale”.
L’ipotesi del collegamento della “confraternita di costruttori del Monferrato” con il vescovo Landolfo di Asti non è particolare di poco conto, ma ve ne parleremo a tempo debito in un prossimo lavoro per non distrarci dall’obiettivo. Torniamo a santa Maria di Isana:
Se non sai dov’è non la vedi. Eppure centinaia, anzi migliaia di persone giungono da tutta Italia per visitare questa piccola chiesetta immersa nella pianura e calata all’interno di una “grangia”, una grande fattoria circondata da mura e di proprietà privata, dove i gentili proprietari ci hanno accolto in orari non proprio canonici con grande disponibilità e provvedono a mantenere accogliente questa testimonianza unica in Piemonte. Testimonianza di una chiesa templare, “Santa Maria d’Isana”, che ha resistito ai secoli ed al tempo e stà lì a ricordarci che in questo luogo operavano ed agivano gli antichi cavalieri.

La peculiarità della mansione di Livorno era mista:

1.Militare, con il compito di provvedere alla protezione dei pellegrini romei presidiando le strade e garantendone il transito;
2.Caritativa, perché preposta all’accoglienza e all’ospitalità per il viandante;
3.Produttiva, in quanto centro agricolo di grande estensione dove potevano interagire mezzadri interni ed esterni;
4.Religiosa, perché il pellegrino stanco del duro viaggio trovava il conforto dello spirito.

Non si sa con certezza quando sia stata costruita, ma è fuori di dubbio, vista la tipologia architettonica, che si collochi tra gli edifici religiosi edificati nel 12° secolo.
Un tempo era immersa nel fitto di una boscaglia millenaria ed era la chiesa di pertinenza della locale mansione templare e risale al primo periodo di espansione in Piemonte.
E’ costituita da una piccola aula orientata con abside ora quadrata, misura m. 7,80 di larghezza compresi i contrafforti e m. 12,80 di lunghezza a partire dalla lesena di facciata compreso il contrafforte del campanile, più 3.80 metri dell’abside originaria ora incorporata nel fabbricato aggiuntivo.
L’architettura, come già detto sopra, risente dell’influsso romanico del Monferrato e quando parliamo di influsso romanico del Monferrato facciamo riferimento a una corporazione e che ha edificato diverse chiese tra il 1160 e il 1180 tra cui santa Fede a Cavagnolo, autentico gioiello romanico che, purtroppo, versa in condizioni di grande degrado.
Conficcata nel terreno una pietra sacra, testimonianza che prima della costruzione della chiesa di Santa Maria all'interno della cascina di Isana, questo era un luogo di culto pagano.
La pietra esiste ancora oggi in prossimità della cascina, è un menhir triangolare, dotato di poteri taumaturgici, capaci di guarire i reumatismi e il mal di schiena se ci si appoggia sopra la parte dolorante. Ancora una volta abbiamo la presenza di una chiesa cristiana edificata in prossimità di un intenso luogo di culto pagano, in cui si incrociano correnti telluriche e cosmiche dai benefici influssi e dispensatrici di fecondità. La pietra ha la punta rivolta ad est. Inoltre abbiamo la presenza di una fonte di acqua sorgiva, altro simbolo esoterico fondamentale.







Isana è ricca di leggende e di storie, tra le tante ne citiamo due che ci paiono importanti:
1.La prima ebbe luogo nel 1944 o nel 1945 - chi ne fu testimone non ricorda l'anno esatto. Erano appunto gli anni in cui la seconda guerra mondiale volgeva al termine, quando evidentemente ancora convinto di ribaltare le sorti del conflitto Hitler spendeva ugualmente mezzi per ricerche esoteriche. Accadde infatti che una donna raccontò, qualche anno più tardi, un fatto che l'aveva vista involontaria protagonista. Arrivarono da lei alcuni ufficiali tedeschi che si fecero accompagnare immediatamente - era sera avanzata - presso la chiesetta di Santa Maria di Isana di cui lei possedeva le chiavi essendone custode. Stando alla testimonianza di chi ha personalmente sentito il racconto, la donna ovviamente impaurita obbedì e dovette stare molte ore sotto il controllo di due militari, mentre gli ufficiali misero a soqquadro tutto l'interno della chiesetta alla evidente ricerca di un qualcosa. La donna fece varie ipotesi, ma nessuna aveva una spiegazione plausibile: partigiani nascosti non ce n'erano, particolari ricchezze da depredare nemmeno, così come del tutto assenti altri motivi che giustificassero una notte di ricerche affannose. La risposta ce la propone la storia dello stesso sito, storia che parla della sua origine Templare su un luogo già anticamente conosciuto come pregno di energie telluriche e ricostruito probabilmente dopo il terremoto padano del 1117. A pochi metri di distanza si trovava, e si trova, una pietra con facoltà taumaturgiche. Cosa cercavano le SS? Non si sa di preciso, ma quasi certamente questa ad Isana è una spedizione, tra le tante, alla ricerca di un qualche oggetto “Sacro” della Cristianità, forse lo stesso “Gral”.
2.L’altra leggenda riguarda le “Tre Stelle Sorelle” cioè le tre Madonne nere di Isana, Crea ed Oropa che la vigilia della festa dell’Assunta, cioè a mezzanotte esatta del 14 agosto si vedono apparire, splendere ed affievolirsi in cielo. Abbiamo un mistero trinitario, un triangolo di energie telluriche che, in un particolare momento dell’anno, si “aprono” per poi spegnersi nuovamente. La stella è senza dubbio simbolo templare, san Bernardo stesso invitava a “guardare alla Stella” e si dice che la notte precedente il sacrificio del Gran Maestro Jacques de Molay esso recitò “Ave Maris Stella” insieme ai suoi compagni di sventura.

Indubbiamente grandi e tanti sono i quesiti che si pongono man mano che procediamo nelle nostre ricerche e continuamente Vi aggiorneremo sulle stesse continuando con “i confratelli costruttori” che, inevitabilmente, ci porteranno all’origine della nostra civiltà.

Gabriella Fogli

sabato 4 aprile 2009

La Sindone fu trafugata da Costantinopoli con la IV Crociata comandata da Bonifacio di Monferrato. I Monferrato ed i Templari e la Sacra reliquia ...



Secondo gli studi recenti condotti dalla storica vaticanista Barbara Frale, i templari nel medioevo custodirono la Sacra Sindone. Nel 1204 fu trafugata da Costantinopoli durante il saccheggio della IV Crociata, che fu comandata da Bonifacio di Monferrato. La Storia di Monferrato si intreccia quindi con quella della Sacra reliquia del cristianesimo ...
Fonte: L'Osservatore Romano, http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/079q04a1.html
I documenti dimostrano che il telo fu custodito e venerato dai cavalieri dell'ordine nel XIII secolo
I templari e la sindone di Cristo è il titolo di un nuovo libro che Il Mulino pubblicherà prima dell'estate. L'autrice, addetto dell'Archivio Segreto Vaticano che ha studiato il processo contro il famoso ordine militare del medioevo, ha già pubblicato sul tema altri volumi - L'ultima battaglia dei Templari. Dal codice ombra d'obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia (Roma, Libreria Editrice Viella, 2001, pagine 337, euro 24, 79); Il Papato e il processo ai Templari. L'inedita assoluzione di Chinon alla luce della diplomatica pontificia (Roma, Libreria Editrice Viella, 2003, pagine 239, euro 20); I Templari (Bologna, Il Mulino, 2004, pagine 193, euro 12; nuova edizione, 2007); Notizie storiche sul processo ai Templari (in Processus contra Templarios, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2007, pp. 103-249) - e anticipa in questo articolo i contenuti del suo ultimo studio.
di Barbara Frale
Nell'anno 1287 un giovane di buona famiglia del meridione francese, chiamato Arnaut Sabbatier, chiese e ottenne di entrare nell'ordine religioso e militare dei templari:  qualcosa che nella società del tempo costituiva un gran privilegio sotto molti punti di vista. Nato a Gerusalemme poco dopo la prima crociata, con la missione di difendere i cristiani di Terrasanta, quello del Tempio diventò ben presto l'ordine più potente e illustre del medioevo cristiano.
Durante la sua cerimonia d'ingresso, dopo aver preso i tre voti monastici di povertà, obbedienza e castità, il precettore condusse il giovane Arnaut in un luogo chiuso, accessibile ai soli frati del Tempio:  qui gli mostrò un lungo telo di lino che portava impressa la figura di un uomo e gli impose di adorarlo baciandogli per tre volte i piedi.
Questa testimonianza proviene dai documenti del processo ai templari ed è quasi sconosciuta agli storici poiché rappresenta una goccia nel mare per chi debba studiare le intricatissime vicende di quel grande complotto innescato nel 1307 dal re di Francia Filippo IV il Bello ai danni del Tempio, divenuto ormai quasi uno Stato autonomo all'interno del suo regno. Tuttavia quel documento possiede un valore di primo piano per chi sia interessato a indagare le dinamiche di un'altra storia:  quella che segue il trasferimento della sindone di Torino dalla corte degli imperatori bizantini - dove era rimasta fino all'anno 1204 - verso l'Europa, dove ricompare a metà del XIV secolo, nelle mani di una nobile famiglia francese.
Nel 1978 uno storico laureatosi a Oxford, Ian Wilson, aveva ricostruito le peripezie storiche della sindone mettendo in evidenza come il telo, considerato la più importante reliquia della passione di Cristo, fosse stato rubato dalla cappella degli imperatori bizantini durante il tremendo saccheggio consumato durante la quarta crociata nel 1204.
Wilson metteva a confronto tante testimonianze rilasciate dai frati del Tempio durante il processo e faceva notare che fra le accuse avanzate contro di loro dal re di Francia c'era quella di adorare segretamente un misterioso "idolo", un ritratto che raffigurava un uomo con la barba.
Grazie a una serie di indizi, l'autore suggeriva come il misterioso "idolo" venerato dai templari altro non fosse che la sindone di Torino, chiusa in una teca speciale fatta apposta per lasciar vedere solo l'immagine del volto, e venerata in assoluto segreto in quanto la sua stessa esistenza all'interno dell'ordine era un fatto molto compromettente:  l'oggetto era stato rubato durante un orribile saccheggio, sugli autori del quale Papa Innocenzo iii aveva lanciato la scomunica, e anche per il traffico delle reliquie era stata sancita la stessa pena dal concilio Lateranense IV nel 1215.
Che l'avessero presa direttamente oppure comprata da qualcun altro, dichiarando al mondo di possedere la sindone i templari rischiavano in ogni caso la scomunica. Secondo Wilson, gli "anni oscuri" durante i quali le fonti storiche non parlano della sindone corrispondono in realtà al periodo in cui la reliquia fu custodita in assoluto segreto dai templari. A suo tempo la tesi suscitò molti entusiasmi poiché permetteva di dare risposte coerenti a tanti punti non chiariti che ancora permanevano sulla storia della sindone e sul processo contro i templari, ma la comunità scientifica rimase insoddisfatta in quanto le prove documentarie addotte dallo studioso apparivano tutto sommato scarse.
A distanza di trent'anni ho provato ad aggiungere alla tesi di Wilson molti tasselli mancanti. In questo nuovo libro ho analizzato fonti inedite riguardanti i templari e la storia antica della sindone giungendo a una conclusione:  nel corso del Duecento, quando la società cristiana è turbata dalla proliferazione delle eresie che negano la reale umanità di Cristo, l'ordine del Tempio, a causa delle sue molte immunità, rischia di diventare una specie di porto franco per gli eretici di lignaggio cavalleresco che cercano d'intrufolarvisi per mettersi al riparo dalle autorità inquisitoriali.
Se questo fosse successo davvero, il Tempio si sarebbe trovato destrutturato nella sua identità religiosa. I capi dell'ordine frequentavano la corte bizantina per la quale avevano svolto varie mediazioni diplomatiche, conoscevano l'enorme sacrario imperiale di Costantinopoli dove per secoli gli imperatori avevano raccolto con cura minuziosa le più famose e antiche reliquie di Cristo, della Vergine e dei santi. Sapevano anche che i teologi bizantini avevano enfatizzato il potere delle reliquie di Cristo per contrastare la predicazione degli eretici, soprattutto delle sette di stampo docetista e gnostico secondo le quali Cristo era un essere di solo spirito e non aveva mai avuto un vero corpo umano, ma solo l'apparenza di un uomo.
Insomma, i templari si procurarono la sindone per scongiurare il rischio che il loro ordine subisse la stessa contaminazione ereticale che stava affliggendo gran parte della società cristiana al loro tempo:  era il miglior antidoto contro tutte le eresie. I catari e gli altri eretici affermavano che Cristo non aveva vero corpo  umano né vero sangue, che non aveva mai sofferto la Passione, non era mai morto, non era risorto; per questo non celebravano l'Eucarestia, considerata a loro giudizio un rito privo di senso non avendo Cristo mai avuto una vera carne.
Una volta aperta completamente, la sindone portava l'immagine impressionante di quel corpo massacrato proprio come era avvenuto a Gesù secondo i vangeli:  si vedeva tutto, la carne dei muscoli tesi nella rigidità che accompagna le prime ore dopo la morte, il volto gonfio sotto l'effetto delle percosse, la pelle strappata dagli aculei del flagello. E c'era tanto sangue, sangue dappertutto, quello che secondo l'evangelista Matteo era stato "versato per molti in remissione dei peccati" (Matteo, 26, 28). L'umanità di Cristo sopraffatta dalla violenza degli uomini, quell'umanità che i catari dicevano immaginaria, si poteva invece vedere, toccare, baciare.
Questo è qualcosa che per l'uomo del medioevo non aveva prezzo; qualcosa ben più potente dei sermoni dei predicatori e anche della repressione degli inquisitori. I Pontefici più accorti lo avevano capito, e così si comprendono iniziative come quella di Innocenzo iii che promosse il culto della Veronica o quella di Urbano iv che solennizzò il miracolo di Bolsena istituendo la festa del Corpus Domini.
I templari diedero allora vita a liturgie speciali di venerazione della sindone come l'uso di consacrare le cordicelle del loro abito mettendole a contatto con l'inestimabile reliquia, affinché il potere sacro di quell'oggetto li proteggesse sempre dai nemici del corpo e dello spirito; oppure la liturgia descritta dal templare Arnaut Sabbatier ricordata in apertura. E anche Carlo Borromeo, quando nel 1578 si recò pellegrino alla sindone viaggiando a piedi da Milano a Torino, la venerò praticando il bacio sulle ferite dei piedi proprio come usavano fare i dignitari del Tempio.
Questo libro - una ricostruzione di taglio storico-archeologico che non entra in questioni teologiche - rappresenta in realtà la prima parte di uno studio dedicato alla sindone che si completerà con un secondo volume in preparazione di stampa (La sindone di Gesù Nazareno, sempre per Il Mulino). Attraverso una lunga ricerca documentaria provo a rispondere a molti quesiti della storia ma anche a proporre ipotesi di studio che potrebbero aprire nuovi sentieri di ricerca:  come quella che riguarda le enigmatiche tracce di scrittura in greco, latino ed ebraico identificate da alcuni esperti francesi sul lino della sindone, parole tracciate in origine su un documento che entrò in contatto con il telo e vi lasciò una specie di impronta.